Viaggio in solitaria in Colombia

Diario di Viaggio di Cristina che da sola ha viaggiato per il sud America per diversi mesi: Colombia, Ecuador, Isole Galapagos. Quello che segue e’ il racconto, le sensazioni, riflessioni, pensieri della prima parte di questa avventura iniziata in Colombia: buona lettura.

Era tanto che volevo partire così… sapevo che il giorno prima mi avrebbe assalito quell’ansia strana, quella paura di non farcela, di non essere in grado. Destinazione Sud America, sola, con uno zaino più grande di me e soprattutto con una conoscenza dello spagnolo nulla. Destinazione Colombia, che nell’immaginario comune non è certo il Paese più tranquillo del mondo. Ma finalmente il 15 di giugno 2011 ho preso il volo ed è iniziata questa splendida e fortificante avventura…

Il mio percorso parte dai dintorni della città di Medellin dove ho iniziato a respirare l’atmosfera tipica delle zone interne del Paese e dove ho iniziato ad assaggiare i piatti  tipici e a bere litri di caffè. Poi ho preso al volo l’occasione di visitare una regione poco conosciuta, il Dipartimento del Chocò sulla costa occidentale.

Zona magnifica, selvaggia, dove la selva incontra il mare. Zona anche tristemente famosa per la sua pericolosità dovuta alla presenza di sacche di guerriglia (almeno così si dice) e per questo ormai praticamente disertata dai turisti. Ma non ho resistito, sono andata ed è stato emozionante condividere la tranquilla quotidianità del minuscolo villaggio di Playa Huina vicino a Bahia Solano e passeggiare sulla spiaggia circondata di bambini festosi e ansiosi di farsi fotografare.

E’ stato faticoso ma gratificante inoltrarsi nella giungla colombiana con una famiglia del posto alla ricerca dell’albero più grande che io abbia mai visto, terribile e commovente parlare con chi ha vissuto sulla sua pelle la guerra civile, perdendo chi il marito, chi il padre, chi il figlio. Mi sono sentita, se pur per pochi giorni, parte di quella comunità, di quel microcosmo sperduto e mi porto dentro  odori,  sapori, voci, tutto quello che ho visto…

Dopo questo vissuto di forte impatto, mi sono diretta verso nord raggiungendo la costa caraibica e una delle città più incantevoli di cui abbia memoria: Cartagena de Indias. Ho ancora negli occhi la sua magia, le bellezze architettoniche dello stile coloniale, l’allegria innata dei suoi abitanti, la confusione, la musica, i balli, le venditrici di frutta con i cesti sulla testa, gli autobus strombazzanti. Un delirio!

Lo stesso piacevole delirio che ho respirato lungo tutta la costa colombiana settentrionale. Dopo una settimana di Cartagena mi sono infatti spostata verso est fermandomi anche a Santa Marta, di cui ho apprezzato particolarmente i dintorni come il fantastico Parco Nazionale Tayrona.

Qui, per meglio gustare l’atmosfera del luogo, ho deciso, dopo una bella escursione,  di rimanere una notte a dormire nel parco. Dormire all’aperto su un’amaca davanti al burrascoso Mar dei Caraibi….addormentarsi e svegliarsi con il rumore delle onde è stata una esperienza tanto scomoda quanto indimenticabile!

E poi….il viaggio continua verso sud a Bucaramanga dove mi è mancato il coraggio di assaggiare la specialità locale: la famosa “Hormiga culona” (delle grosse formiche che si dice siano delle prelibatezze…) ma, non so dove, ho trovato il coraggio di lanciarmi con il parapendio! Che brivido! Ondeggiavo nell’aria e volavo, volavo davvero!

Magari qualcuno di voi non ci troverà niente di particolare ma…io soffro di vertigini! O forse dovrei dire…soffrivo? Verso sud ancora: eccomi nell’immensa Bogotà… ancora più gigantesca per me che sono nata e cresciuta in un paesino di 2500 anime.  La città di per sé non riesco a definirla “bella” ma mi ha comunque catturata, non saprei.

Forse, dopo una settimana passata a girarla in lungo e in largo, ne ho colto l’essenza, lo spirito, e l’ho apprezzata per quello che sa offrire:  ad esempio i numerosi eventi culturali e i musei interessanti ed economici come lo splendido Museo dell’Oro e udite udite  il museo di Botero che è addirittura gratis!

E dopo Bogotà….è arrivato il momento di visitare la famosa Zona Cafetera con le tre città di Pereira, Armenia e Manizales.

Sempre nella splendida zona delle piantagioni di caffè esiste un posto che consiglio a tutti: si tratta di un paesino surreale che si chiama Salento (sì sì proprio così!) dal quale si può raggiungere la Valle de Cocora con i suoi paesaggi indescrivibili dominati dall’albero simbolo nazionale della Colombia: l’altissima palma da cera che può raggiungere i 60 metri di altezza. Non esistono le parole giuste per descrivere la bellezza unica di Salento e della sua valle: bisogna andarci!

E’ l’unico modo per capire, credo… E via, via ancora verso sud: Cali, la città della salsa, Popayan, denominata “la città bianca” perchè tutte le case, i palazzi, le chiese, sono dipinti di bianco e questo le dona una luce unica. Per ultima, ho visitato la città di Pasto dove si respira già un’aria di confine vista la vicinanza con l’Ecuador. E poi la frontiera e il passaggio in Ecuador, con il cuore che batte forte perché sa, lui lo sa bene, che inizia una nuova esplorazione…

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Porto de Galinhas, Brasile

Il racconto di viaggio di Giovy che nel 1998, visita per la prima volta il Brasile: un viaggio ed un’avventura raccontata in modo piacevole e coinvolgente…

Avevo 20 anni, tondi tondi perchè era il 1998. Lavoravo dall’ottobre prima ed ero fortunata perchè a 20 anni avevo già tra le mani un contratto a tempo indeterminato e potevo permettermi 3 settimane di ferie per volare dall’altra parte del mondo: in Brasile. O meglio, a Recife, nel Pernambuco … pieno Nord-Est brasileiro, posto fatto di contraddizioni eterne. Mi ricordo il volo lunghissimo, via Bruxelles e ricordo pienamente l’odore acre dell’aria quando uscii dall’aeroporto assieme alle altre 5 persone che viaggiavano con me.

Ci venne a prendere Antonio, un nostro amico che si era preso un anno sabbatico e che faceva volontariato nel Barrio do Pina, nella Favelas do Bode presso un centro fondato da due suore con un coraggio grande come il mondo. Quell’estate, per quelle tre settimane, io mi occupai di seguire alcuni meninhos de rua del centro di Recife. Attraversavo la favela tutti i giorni e, momento dopo momento, i sorrisi verso di me aumentavano e il fruttivendolo mi lanciava una Guajava tutte le mattine.

Il primo giorno ero timorosa, l’ultimo piangevo per non andare via. Quei giorni vissuti nell’ultimo luogo che ognuno spererebbe per chiunque, venivano intervallati da week end di decompressione perché altrimenti impazzivamo. Quando si affrontano certe esperienze, è necessario darsi una tregua senza sentirsi in colpa perché noi non siamo abituati a tutta quella vita difficile ed restarci dentro troppo ci annulla al punto di non essere più utili alla causa che ci ha fatto volare dall’altra parte del mondo. Per questo, senza colpe, è necessario garantirsi una decompressione… perché il nostro carattere è cedevole.

La mia prima pausa… e quella dei miei compagni di viaggio si chiamò Porto de Galinhas, un luogo a sud di Recife, che raggiungemmo con un pullman scalcagnato. Nel 1998 era ancora genuino, piccolo, con poche posadas e tanti pescatori.
Ora ho idea che sia  un po’ più turistico … ma mi piace pensare che la sua essenza sia ancora quella di 13 anni fa.

Il nome di quel luogo si deve all’epoca coloniale quando gli schiavi arrivavano copiosi in tutte le Americhe.
In Brasile la schiavitù venne abolita nel 1888 e, malgrado questo, gli schiavi continuavano ad arrivare con il nome in codice di “Galline dall’Angola”. Gli schiavisti mandavano missive ad Olinda o Recife dicendo “stanno arrivano le galline dall’Angola”.
E molto, di quell’epoca, è rimasto nel piccolissimo centro storico di quel luogo nordestino.
C’è la piazza dove gli schiavi venivano venduti e tutti gli aggeggi ai quali venivano legati. Ci sono le fazende, lì vicino, e ci sono le case signorili. Io le fotografavo pensando, nell’ingenuità dei miei vent’anni, a quanto il Brasile non fosse cambiato.
Infondo si era solo modernizzato. I nuovi schiavi erano incatenati ad una società impari e difficile, ad un destino avverso nel caso si nascesse nella parte sbagliata della città.
No, non dovevo fare quei pensieri quel giorno… era il mio momento di decompressione… no Giovy… basta, non devi.
Invece continuavo e nella mia mente girava a loop una frase di Frei Betto, persona splendida che ebbi la fortuna di sentire in una conferenza a Recife qualche giorno prima: egli affermava che il Sud America altro non era che lo specchio del mondo che sarebbe venuto di lì a poco tempo, con una separazione ampia tra i ricchi e i normali… che a lungo andare sarebbero diventati i nuovi poveri.

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Bellissimo racconto propostoci da Marco Pastorl di CIFA ONLUS. L’enorme crocifisso luminoso campeggia sulla collina a strapiombo sul mare di Lima. Resto lì a guardarlo quasi intontito. Sono a Barranco, quartiere di Lima che si affaccia sull’oceano, dove convergono molti turisti alla ricerca di uno degli angoli più suggestivi della città. La città sconfinata che dall’estremo … Continua